CHICCO CHIODI: INTERVISTA ESCLUSIVA!!!

Scritto venerdì 15 Febbraio 2013 alle 08:11.

Intervista esclusiva a Chicco Chiodi

Intervista by Alessandro Castellani

Alessio Chiodi è uno di quei piloti che, quando sei con gli amici a chiacchierare di motocross, ti basta dire il soprannome, “Chicco”, per farti capire da tutti. Un po’ come quando parli di ciclismo e dici “il Pirata”, o quando parli di musica e dici “Liga”: è una sorta di onorificenza informale che i fan attribuiscono a quei personaggi che hanno lasciato davvero un segno nella storia del loro sport o della loro arte. Chiodi questa onorificenza se la merita pienamente, perché uno che nel palmares vanta tre titoli mondiali, due Motocross delle Nazioni, 27 Gran Premi, un titolo europeo e otto titoli Assoluti/Internazionali d’Italia è uno che un segno nella storia del suo sport l’ha lasciato per forza.
Oggi Chicco è un tranquillo quasi-quarantenne (li compirà a marzo) che continua a correre per il semplice gusto di andare in moto; uno che dopo le prove se ne frega pure di vedere che tempo ha fatto, come l’ultimo del regionale, e se glielo chiedi ti risponde serenamente con un “boh!”. Eppure non va piano, anzi! Ogni volta che c’è in pista lui sono dolori per tanti giovanotti di belle speranze, bastonati ed umiliati da un pilota in pensione che gli dimostra quanta strada devono ancora fare per raggiungere i livelli di eccellenza imposti dal mondiale. Chi vede Chiodi correre oggi e piazzarsi sempre tra i primi dell’italiano, realizza quanto grande sia stato realmente Chicco quando era all’apice della sua carriera, e quindi lo ammira ancora di più.
Lui, dal canto suo, pensa solo a godersi il motocross nella sua essenza più pura: viene alle gare col furgone, prende le gare come vengono e parla di motocross come ne parlerebbe un semplice appassionato. Così, quando gli abbiamo chiesto la sua disponibilità a raccontarci la sua visione dello sport attuale, ha accettato senza problemi di sottoporsi alle nostre domande.
L’intervista era originariamente concepita per essere pubblicata in formato video, ma dei problemi con l’audio ci hanno spinto ad adattarla per iscritto, in modo da permettere a tutti di capire bene le domande e le risposte che ci ha dato Chicco.

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Allora Chicco, innanzitutto una curiosità: a quante stagioni internazionali consecutive sei arrivato?
“Eh, ormai ho perso il conto…”

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Beh, proviamo a riordinare le idee.
“Allora, la prima gara di Europeo l’ho corsa nell’89; siamo nel 2013, quindi sono arrivato a 24…”

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Una carriera lunghissima, che pochi altri atleti, anche in altri sport, possono vantare. E hai ancora voglia di lanciarti in nuove avventure. Quest’anno sei passato in MX1, dopo anni di MX2: come mai?

“Sto invecchiando, ho bisogno di una moto che sia meno estrema da guidare…”

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Quindi confermi quel trend che vede i quarantenni comprarsi la 450…
“Eh sì… quest’anno passo coi Veteran, quindi devo adeguarmi alla mia nuova condizione… No dai, a parte gli scherzi, quest’anno avevo voglia di cambiare. Ho provato la nuova Honda 450 e mi è piaciuta molto, perché è molto gestibile e si adatta bene alle mie caratteristiche. Visto che ormai corro solo per passione, tutte le mie scelte, compresa quella della moto con cui correre, sono mirate esclusivamente al divertimento; mi sono trovato bene con questa Honda e quindi mi sono detto: «OK, andiamo a divertirci in MX1».”

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Ormai da diverse stagioni partecipi solo agli Internazionali d’Italia, quindi corri più o meno per un mese e poi ti fai rivedere direttamente l’anno dopo. Visto che per mantenerti a questi livelli devi comunque continuare ad allenarti costantemente, non ti viene voglia di fare qualche gara anche in mezzo alla stagione? Che so, magari un italiano vicino casa…
“Sinceramente, no. Come ho appena detto, io corro solo per divertirmi. Gli Internazionali sono un bel campionato e si corrono nel periodo che preferisco per andare in moto, perché a me piacciono le piste tecniche e febbraio-marzo sono i mesi migliori per questo,visto che i terreni sono più morbidi e si scavano di più. E poi ormai la mia vita non ruota più esclusivamente intorno al motocross: ho anche altri interessi e durante il resto dell’anno preferisco dedicarmi alle altre attività che mi piace fare. Certo, se ci fosse qualche altra gara degli Internazionali a metà o a fine stagione, la correrei, ma solo perché faccio tutto il campionato.”

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Quest’anno gli Internazionali  hanno presentato novità importanti: un calendario particolarmente stretto e due piste (Malagrotta e Riola Sardo) che non avevano mai ospitato gare di questa levatura. Come ti sembra quest’edizione 2013?
“Il fatto che si vada su piste nuove per me è una buona cosa. In particolare la tappa in Sardegna è stata molto utile sia per i top team che per i giovani che devono farsi le ossa, perché abbiamo corso su una su una pista sabbiosa simile a quelle che si trovano nel mondiale, quindi è stato un buon test per tutti; sicuramente è stata una trasferta un po’ più scomoda e costosa del solito, però secondo me è valsa la pena fare il sacrificio. Per quanto riguarda il calendario, invece, siamo un po’ troppo stretti come tempi: capisco che tra venti giorni parte il Mondiale e capisco anche che, finiti gli Internazionali, i piloti che non fanno il Mondiale saranno occupati con l’Italiano o l’Europeo; in fondo io forse sono l’unico che corre gli Internazionali e basta. Però, a prescindere da quello che faccio io, sviluppare un campionato intero in sole tre settimane mi sembra un po’ poco.”

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Il fatto è che il calendario del Campionato del Mondo è stato rivoluzionato, visto che si partirà un mese prima del solito e si correranno più prove. È un bene secondo te avere un mondiale così lungo?
“Per i team che hanno le possibilità economiche non cambia nulla. I problemi sono per le squadre minori, che penso dovranno fare grandi sacrifici.”

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Ai tuoi tempi c’erano già gare in Paesi con scarsa tradizione crossistica, come ad esempio l’Indonesia o il Guatemala. Ora ci si torna con la supervisione di Youthstream, che garantisce (o almeno dovrebbe garantire, se pensiamo alla gara in Messico dell’anno scorso) un certo standard qualitativo dell’organizzazione. Cosa ne pensi dello spostamento del mondiale nei cosiddetti “nuovi mercati”?
“Io credo che sia giustissimo che un campionato mondiale si sposti anche fuori dall’Europa, come fanno anche la Formula 1 o la MotoGP; l’importante è che ci siano le condizioni giuste ed organizzatori all’altezza della situazione. Il problema più grosso di questo ampliamento del calendario sta tutto nel momento storico in cui è stato pianificato: con la crisi che c’è adesso, queste nuove trasferte così impegnative metteranno in grossa difficoltà i team minori. Se ci fossero un po’ più di aiuti a coprire le spese da parte di chi organizza queste gare oltreoceano, anche le squadre meno ricche potrebbero partecipare e sarebbe senz’altro più bello.”

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La formula di far correre insieme MX2 e MX1 è strettamente collegata a questa problematica. Tu come la vedi?
“Eh, come la vedo… (fa una faccia che è tutta un programma, n.d.r.) Non voglio dire che sia solo una soluzione per riempire i cancelletti, visto che sicuramente ci saranno pochi piloti e non arriveranno mai a 40 MX1 e 40 MX2; magari avranno anche pensato che possa essere una formula che aumenta la spettacolarità delle gare. Però è una cosa un po’ troppo diversa dal solito, troppo complessa. Potrà capitare che Herlings si trovi a lottare con Cairoli per la vittoria della manche e quindi ci scappi un duello tra i due talenti migliori che abbiamo attualmente nel mondiale, però non sarà facile far capire ad uno spettatore occasionale, uno di quelli che non sa che differenza c’è tra una MX2 ed una MX1, che quei due piloti stanno correndo in due categorie diverse; così come non sarà facile fare i conti con le classifiche e con i sorpassi da fare in gara. Decisamente credo che ci sarà troppa confusione.”

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A conti fatti tutti questi cambiamenti, questi problemi e queste soluzioni hanno una matrice comune, cioè la gravissima crisi economica che ha colpito tutto il mondo occidentale. Quando correvi tu, tra metà anni ’90 e i primi 2000, c’erano già i primi segnali di questa crisi?
“Diciamo che ai miei tempi chi vinceva un mondiale magari non guadagnava quanto può guadagnare Cairoli oggi, però in generale non c’erano le difficoltà che vedo adesso e sicuramente non si avvertiva questa crisi. Adesso il mondo del professionismo è in una situazione drammatica: si fa fatica anche solo a trovare una ditta di abbigliamento tecnico che ti fornisca i completi, i caschi o gli stivali per disputare una stagione. Quando correvo io, invece, anche il quarantesimo del GP si portava a casa qualcosina come rimborso spese, quindi globalmente la situazione era migliore.”

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Un’altra regola molto discussa è quella della MX2 under 23. Se fosse stata in vigore negli anni dei tuoi titoli mondiali, tu non avresti potuto correre in 125/MX2 per raggiunti limiti di età e quindi non avresti vinto quello che hai vinto. Ha senso mettere un limite di età per permettere ai giovani di emergere?
“Non voglio sembrare quello che tira l’acqua al suo mulino, però io sono dell’idea che un pilota è forte a 16 anni, come a 30, come a 40, quindi mi sembra una regola che limita un po’ troppo le categorie. È vero che oggi ci sono giovani che a 16 anni sono già pronti per vincere un mondiale, mentre ai miei tempi a quell’età stavamo ancora imparando ad andare in moto, però fissare dei limiti va comunque a penalizzare i piloti; con l’accesso libero alle categorie, molti di quelli che sono dovuti passare in MX1 sarebbero rimasti in MX2, avrebbero riempito i cancelletti e tenuto alto il livello qualitativo del campionato.”

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Però, se riempiamo i cancelletti della MX2 coi “vecchi”, poi finisce che si svuotano quelli della MX1…
“Infatti, era meglio come si faceva una volta: qualifiche aperte, 120 piloti iscritti al sabato e cancelletti pieni in tutte le categorie. Limitare l’accesso alle gare non è mai un bene, anche perché ci sono dei ragazzi come Roczen o Herlings che già adesso sarebbero in grado di lottare per la vittoria anche in MX1, mentre altri ragazzi si esprimerebbero meglio con la 250, ma non possono più correrci. E allora, perché costringere i piloti a scegliere la moto con cui correre? Magari io sono troppo di parte, perché se volessi correre un GP non sarei libero di fare la categoria che voglio, però credo che sia meglio lasciare libera scelta a tutti; come risultato avremmo due categorie ugualmente competitive e con tanti partecipanti. Poi chi ha il talento per emergere, emerge comunque.”

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Un’altra cosa che sembra cambiata rispetto ai tuoi tempi è la figura del pilota come personaggio mediatico. Quando correvi tu i top rider esibivano personalità diversissime tra loro, si esprimevano molto più liberamente e c’era spazio anche per le stramberie; tu stesso ogni tanto ti presentavi alle gare con capigliature abbastanza originali… Adesso, invece, i piloti sono molto più “impostati” su determinati standard comportamentali ed è difficile trovare personaggi fuori dagli schemi.
“Il cambiamento deriva dal fatto che, rispetto ai miei tempi, l’ambiente è diventato molto più professionale, forse troppo. Prima i GP si vivevano in maniera più tranquilla, si rideva e si scherzava anche tra avversari; per esempio, il venerdì prima della gara ci trovavamo spesso a fare la partitella di calcio nel piazzale del paddock, o cose del genere. Oggi sono più professionisti, hanno tutti degli obiettivi da raggiungere, gli sponsor fanno grandi pressioni affinché arrivino determinati risultati, quindi bisogna comportarsi in una certa maniera e non c’è più troppa possibilità di uscire dalle righe. Ma forse per gli spettatori è anche più bello così.”

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Recentemente, in un editoriale su Motocross, hai esposto a chiare lettere il tuo pensiero sulla crisi del vivaio italiano e hai scatenato una ridda di discussioni, forse perché sei stato il primo a centrare pubblicamente e senza mezzi termini la questione. Io vorrei sapere secondo te quanto, in percentuale, la situazione che hai denunciato è colpa della scarsità di talenti, della crisi economica o di un approccio sbagliato al professionismo.
“Io farei un 50-50. Il 50% di responsabilità è di chi gestisce la formazione e la crescita di questi ragazzi, l’altro 50% è da imputare direttamente ai piloti: devono capire che sono loro stessi gli artefici principali del loro destino, non devono arrendersi alle prime difficoltà e non devono sentirsi arrivati troppo presto. Se non capiscono questo, abbiamo poche speranze.”

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Bene, siamo arrivati alla fine. Grazie di cuore per la tua disponibilità.
“Grazie a voi e un saluto a tutto il Bars.”

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