UNA BIRRA COL KAISER:I mondiali più belli(episodio7)

Scritto mercoledì 2 Febbraio 2011 alle 22:27.

La cosa più bella di viaggiare nel tempo è che si può andare avanti e indietro a proprio piacimento, senza timore di perdersi. Ed è proprio quello che facciamo questa settimana: dopo esserci concentrati sugli anni ’90 e sui grandi successi italiani, torniamo indietro al lontano 1982, dove ci aspetta Mariocross Mauro Marica, pronto a raccontarci com’è cominciata l’epopea americana nel motocross.

 

Negli Stati Uniti, infatti, il cross si è diffuso molto in ritardo rispetto all’Europa, ma l’AMA, la federazione motociclistica americana, ha avuto la straordinaria capacità di trasformarsi in pochi anni nel riferimento mondiale della specialità, sfruttando l’immensità del territorio statunitense e due idee che hanno aiutato enormemente la formazione di talenti. La prima è  stata il campionato Trans-AMA, organizzato dal 1970 al 1978 per favorire la diffusione del motocross sul territorio: un torneo a valenza internazionale a cui partecipavano i più grandi campioni europei, come De Coster, Mikkola o Weil, da cui i giovani piloti americani potevano imparare i trucchi del mestiere senza doversi per forza spostare nel nostro continente. La seconda è stata un’invenzione semplice ma geniale: portare le piste in luoghi accessibili agli spettatori, esaltare al massimo la spettacolarità della competizione, favorendo i salti e gli scontri corpo a corpo, e fare dell’America il Paese con più appassionati del mondo. Era nato il Supercross, l’americanizzazione del motocross, che in breve sarebbe diventato la scuola di guida più efficace per diventare grandi campioni. La prima edizione, nel 1974, fu vinta dall’olandese Pierre Karsmakers, ma poi per rivedere un europeo tornare a primeggiare negli stadi d’America bisognò attendere quel fenomeno di Jean Michel Bayle.

 

Ma vediamo di non confondere troppo le acque e lasciamo la parola al buon “Mario”.


1982 (250 cc): L’ONDA AMERICANA

Quando il Kaiser mi ha proposto quest’idea, subito mi era sembrato di avere le idee chiare su  quali fossero i mondiali e i personaggi da raccontare. Ma in realtà, quando mi sono messo a ricordare, a leggere le vecchie riviste e riprendere tutta la documentazione possibile relativa ai mondiali degli anni ‘80, mi sono reso conto che la cosa era ben più complessa e meno scontata. Sì, perché quei dieci anni verrebbe voglia di raccontarli più o meno tutti! Ma siccome qui bisogna trovare solo quelli più belli, ho fatto una selezione tra i campionati che fornivano più spunti. E in base a questo ragionamento non posso saltare la stagione 1982.


Tutte e tre le cilindrate andrebbero raccontate, tutte e tre sono state uniche e pregne di motivazioni, tutte meritevoli di essere ricordate. Ho scelto quest’annata perché in modo perentorio e definitivo siglò, secondo me, il vero inizio di una nuova era: quella marcata USA.


Nel 1982 gli americani nel mondiale iniziavano ad essere “pesanti”, un peso fatto di risultati, capacità e talento. In quell’anno cominciarono a portarsi a casa i primi titoli iridati e a piazzare grandi piloti in tutte le categorie: nomi come Brad Lackey o Danny LaPorte entravano a tutti gli effetti tra i top della 500 e della 250 ed al Cross delle Nazioni era già cominciata la straordinaria striscia vincente del team USA, destinata a durare ininterrottamente dal 1981 al 1994. L’unica categoria lasciata libera dagli americani era la 125 e quindi la questione era circoscritta al trio europeo Geboers – Maddii – Rinaldi, ma anche qui successe qualcosa di unico: nel GP di Svizzera si presentò al via un biondino californiano in perfetto stile Beach Boys, vestito con le ghette bianche, chiamato dalla Honda a sostituire l’infortunato Jacques Laquaye prendendo in prestito la sua moto, che si permise di piazzare la pole position, vincere entrambe le manche e tornarsene in America. Era Johnny “O’Show” O’Mara. La sua apparizione “toccata e fuga” imbarazzò tutti e fece capire chiaramente che qualcosa era definitivamente cambiato: i motocrossisti più forti non erano più in Europa. Se ricordo bene, uno degli aspetti che più aveva lasciato sorpresi era il modo di curvare: all’epoca la tecnica consisteva nell’inclinare la moto mentre il corpo del pilota rimaneva perpendicolare al terreno, O’Show invece rimaneva in asse con la moto; moto e pilota erano una cosa sola e facevano un unico movimento.


Ma in quella stagione O’Mara fu solo una folgorazione per gli europei; c’erano altri piloti statunitensi che correvano tutto il mondiale e che li facevano dannare ogni domenica. Uno di questi era Danny LaPorte, che nel 1982 correva il mondiale 250.


Negli anni precedenti al 1982 il mondiale della quarto di litro era stato segnato da vittorie abbastanza annunciate (Calrqvist, Jobé, Hudson), tanto che questa cilindrata cominciò ad essere definita noiosa. Ma il campionato dell’82 è come un urlo nella notte, combattuto fino all’ultimo giro dell’ultima manche, una vera meraviglia: una stagione fatta di impreviste sorprese, rimonte e capovolgimenti di risultato, per arrivare fino all’ultima manche dell’ultimo GP con tutto ancora da definire.

1982-Jobè-Maggiora


Orfano del campione in carica, l’inglese Neil Hudson, migrato in cerca di fortuna nella 500, il campionato si presenta sulla carta incerto ed aperto a più contendenti. I più accreditati sono il belga Geroges Jobé con la Suzuki, l’americano Danny LaPorte con la Yamaha e l’olandese Kees Van der Ven su KTM, tutti e tre piloti ufficiali delle rispettive Case.


Si parte dalla splendida pista di Payerne in Svizzera; si attende Jobé e lui non delude. Parte subito forte, come meglio non si potrebbe, con una doppietta perentoria. LaPorte lascia sul campo uno zero per rifarsi nella seconda manche, in cui finisce secondo. Da ricordare in questa gara anche la bellissima prova del piemontese Maurizio Dolce, su Maico, che centra un magnifico secondo posto nella prima manche e diventa il primo italiano in assoluto ad ottenere un podio nella 250. La stagione però gli regalerà solo questa soddisfazione: “Sugar” (come veniva soprannominato da Brad Lackey) riuscirà a prendere solo un altro punto nell’ultima manche, per il resto il nulla, anche se va ricordato che in questi anni si parte in 40 e a vanno a punti solo i primi 10, quindi non è assolutamente facile far muovere la propria classifica.


Ma torniamo ai veri protagonisti di questo mondiale. Nella seconda prova, in Spagna, Jobé vince la prima manche e, pur non riuscendo a bissare il successo nella seconda, ottiene un ottimo punteggio; il GP viene vinto da Mike Guerra, un altro americano che, in sella alla Husqvarna, si aggiudica la seconda manche. Kees Van der Ven si salva con la costanza di risultati, mentre LaPorte non riesce ancora a trovare il ritmo ed in classifica è attardato. Dopo quattro manche Jobé sembra già il padrone assoluto della situazione.


Ma il nostro sport è fatto di poche certezze, quelle che si hanno solo quando si è passata la bandiera a scacchi, e in Cecoslovacchia avviene qualcosa che stravolge gli equilibri. Jobé parte alla grande e nella prima manche va a vincere, confermandosi ancora come il pilota più in forma del campionato; mentre tutti già s’immaginano un’altra doppietta, Georges in gara-2 è vittima di una banale caduta da cui esce con un ritiro e, cosa ancor più grave, con il gomito destro incrinato. LaPorte coglie l’attimo, vince la gara e riesce finalmente a sbloccarsi, raggiungendo quel feeling che ancora mancava con la sua Yamaha ufficiale.

Maurizio-Dolce


Si arriva così in Italia, sulla mitica pista di Maggiora, che subentra alla rinunciataria Polonia. Danny LaPorte è sempre più convinto delle sue possibilità mentre Jobé, lontano da una condizione fisica accettabile, decide comunque di partecipare alla gara per raccogliere almeno qualche punto; l’impresa riesce, ma il belga finisce per peggiorare ulteriormente le condizioni del suo gomito, al punto da essere costretto a saltare il GP successivo in Francia per recuperare la frattura. LaPorte e Van der Ven ne approfittano e si avvicinano paurosamente; Jobé, pur mantenendo la leadership senza correre, è costretto a rientrare in fretta: il mondiale è serratissimo e la settimana dopo si corre già in Gran Bretagna.


Il tracciato britannico è sabbioso e sulla carta dovrebbe essere terreno di caccia per Van der Ven, ma l’olandese deve fare i conti con LaPorte, che sulla sabbia non è certo un pivello: l’americano ha sempre ricordato (parlando anche della Dakar, gara che farà dopo il motocross) che spesso in America passava i week end nei deserti a divertirsi sulla sabbia e questo gli ha dato una grande confidenza coi terreni soffici. Kees e Danny chiudono il GP con lo stesso punteggio, un primo ed un secondo, ma per la discriminate della seconda manche l’americano vince l’assoluta. Jobé fatica più del normale, non è ancora totalmente a posto e forse risente anche psicologicamente del momento che lo vede lottare per un mondiale da infortunato contro due avversari in forma come non mai, così alla fine rimedia punti solo nella prima manche. A fine giornata arriva il vero colpo di scena: coi risultati del GP inglese Van der Ven si mette dietro i due litiganti e diventa primo in classifica.


Si arriva in Olanda, a casa del nuovo leader, ovviamente atteso come grande favorito. Ma proprio qui Danny LaPorte compie il suo capolavoro: vince tutte e due le manche e, per la prima volta in stagione, a quattro gare dal termine, si piazza in testa al campionato. Per Van der Ven questa sconfitta è una vera e propria mazzata, tanto che non riuscirà più a recuperare le motivazioni ed uscirà definitivamente dalla lotta al titolo. L’unico avversario che rimane in gioco fino alla fine è quindi Jobé, che sta pian piano tornando in forma e vuole tentare a tutti i costi di riconquistare quel titolo che, vinto nell’80, gli era sfuggito per un soffio anche nel 1981.


All’ultimo GP, in Svezia, LaPorte si presenta al comando, ma la matematica non gli da ancora serenità: Jobé è a 15 punti, un vantaggio sicuramente buono, che però non da la certezza di poter correre tranquilli. In pista c’è un altro americano, venuto a fare allenamento in previsione dei mondiali a squadre: è l’ufficiale Honda Donnie Hansen (il padre di Josh n.d.r.), fresco vincitore del titolo Supercross. Così come fatto dal collega O’Mara in 125, anche Hansen arriva e con estrema tranquillità si porta a casa le due manche, lasciando tutti stupefatti. Del resto non ci sono piloti Honda in lotta per il titolo e quindi Donnie può permettersi di correre pensando solo a se stesso, senza troppi riguardi per nessuno.


Dietro di lui la battaglia è all’apice. Nella prima manche Jobé recupera 4 preziosi punti e rimanda tutto agli ultimi, decisivi, 45 minuti di gara. Ma LaPorte questa volta è determinato come non mai, mette le ruote davanti a Jobé e ce le tiene fino termine della manche, finendo secondo dietro al solo Hansen. L’albo d’oro scrive così per la prima volta il nome di Daniel Norman LaPorte, campione del mondo 1982 della classe 250. Per una questione di qualche giorno, il titolo iridato di Danny entra nella storia come il primo conquistato da un pilota americano: solo un paio di settimane dopo, infatti, il suo connazionale Brad Lackey si laurea campione della 500, dopo anni di sfortunati tentativi, ed ufficializza a tutti gli effetti l’inizio dell’era americana nel motocross mondiale.

1982-LaPorte


Per entrambi i campioni questo sarà l’unico alloro della carriera. Brad Lackey, raggiunto il suo sogno di vincere un titolo mondiale, abbandona il professionismo e torna a vivere in America; tutt’ora partecipa ad eventi e rievocazioni vintage e negli ultimi anni è stato molto attivo per sostenere la causa del compianto Danny “Magoo” Chandler. Danny LaPorte, invece, concederà la rivincita a Jobé nel 1983, ma non riuscirà a difendere il suo numero 1 dagli attacchi del fenomenale belga.



Nella prossima puntata

1995: COMINCIARONO COSI’

 

Lascia un commento alla fantastica storia CLICCANDO il link!

 https://www.mxbars.net/forum/topic.asp?TOPIC_ID=35893