Dopo avervi presentato per intero lo “squadrone della morte” dei collaboratori, questa settimana torno personalmente alla guida della macchina del tempo, e lo faccio parlandovi di quello che secondo me è stato il mondiale più bello di tutti.
Il 1999 ha segnato il momentaneo ritorno della 500 al rango di classe regina del mondiale motocross. Dopo quasi un decennio in cui era stata offuscata dalla 250, la diffusione dei motori a 4T, prima europei e poi giapponesi, ha fatto vivere una sorta di estate di San Martino alla categoria oversize: nuovi investimenti, nuove moto, nuovi piloti provenienti dalle altre classi ed una competitività generale che aumentava di anno in anno. Un rifiorire graduale ma costante, che tra la fine degli anni ’90 e i primi 2000 aveva riportato la 500 ai fasti dei vecchi tempi; un rifiorire che però fu breve, come appunto l’estate di San Martino, quei tre giorni caldi di metà novembre che arrivano dopo le prime gelate e finiscono ben presto col ritorno del freddo: nel 2003 i nuovi regolamenti hanno, di fatto, trasportato le moto che correvano in 500 nella nuova MX1 (all’inizio chiamata con l’orrendo nome di Motocross GP), soppiantando le 250 2T e cancellando definitivamente la divisione del motocross in tre classi.
Ma invece di parlare di cosa è successo dopo, vediamo perché in quel periodo la 500 era tornata ad essere la classe regina.
Nei primi anni ’90 alcune Case europee, segnatamente Husqvarna e Husaberg, decisero di tentare la fortuna per ritagliarsi una nicchia nel mercato del cross, ormai completamente monopolizzato dalle quattro giapponesi (anche KTM era fallita nel 1991): presentarono dei progetti di grossi motori a 4T, oltre 500 cc di cilindrata, affidandoli ai rocciosi colossi nordici che affollavano il mondiale 500 e che non trovavano più facilmente dei buoni manubri, visto che tutte le attenzioni (e le sponsorizzazioni) si spostavano verso la 250 e lo sviluppo dei 500 2T si era fermato. Il progetto ebbe successo, grazie anche all’opera di grandi campioni come Jacky Martens, Joel Smets e Darryll King, che mostrarono la competitività loro e delle loro moto anche nelle gare Open come i Cross delle Nazioni, tanto che i costruttori giapponesi intuirono le potenzialità del 4T e si gettarono di nuovo anima e corpo sulla 500. Nel 1997 la Yamaha presentava la prima moto da cross giapponese a 4T, la YZF 400, rientrando ufficialmente nel Mondiale della classe maggiore dopo 10 anni; nel 1999 anche la KTM presentò il suo prototipo a 4T, il bolide SX 520. E anche Honda cominciò a lavorare su quella che sarebbe stata la moto della svolta definitiva, la CRF 450, presentata nel 2002. Ma non corriamo troppo.
1999 (500 cc): THE ITALIAN WAY
Nel 1999 il parterre di piloti al via del mondiale 500 è davvero eccezionale. Il campione in carica è Joel Smets, il poderoso belga che dal 1993 forma un’accoppiata incredibile con la sua Husaberg FC 600, capace di conquistare in 6 anni tre titoli mondiali, un secondo e due terzi posti. La Husqvarna, l’altra Casa europea che ha precorso i tempi, schiera diversi team e tanti ottimi piloti, tra cui il vicecampione del mondo Darryll King, il tedesco Eckenbach (quarto nel ’98) ed Yves Demaria, marsigliese proveniente dalla 250 tanto talentuoso quanto “ingestibile”, affidato quest’anno alle cure di Corrado Maddii. Le Yamaha 400 ufficiali rombano in italiano: la squadra è capitanata da Michele Rinaldi ed i piloti sono Andrea Bartolini, reduce da un ’98 chiuso anzitempo a causa di un infortunio al femore, ed Alex Puzar, al debutto iridato in 500 dopo un’intera carriera trascorsa tra 125 e 250. La KTM ha affidato i suoi nuovi 520 4T all’espertissimo svedese Peter Johansson, terzo nel ’98 in sella alla Yamaha ufficiale che ha poi lasciato a Puzar, ed al campione del mondo del 1996 Shayne King, fratello di Darryll. Ci sono poi alcuni piloti privati o semiufficiali di grande rilievo, pronti ad inserirsi nella lotta: Trampas Parker, che cerca riscatto con una KTM 360 2T dopo anni segnati da infortuni, il granitico Joakim Karlsson, top rider della 250 deciso a lanciare la sfida con una vecchia Honda 500, l’imprevedibile inglese Rob Herring, Massimo Bartolini e Javier Garcia Vico con la Yamaha RZ, e poi ancora qualche nordico pronto a vendere cara la pelle sui terreni pesanti, come l’olandese Van Wessel o il finlandese Aaltonen. In pratica mancano solo 4-5 nomi della 250 per avere la crème de la crème, ma non ci vorrà molto prima che arrivino anche Everts e Bervoets…
La stagione parte in Francia, sulla velocissima pista di Castelnau de Levis. I francesi non hanno mai vinto il titolo della 500 e finalmente possono riporre le loro speranze su un grande pilota come Demaria, che li esalta ancor di più conquistando il GP, seppur a pari merito con uno straordinario Puzar: i due debuttanti si spartiscono primi e secondi posti e dimostrano subito che sono venuti per fare la voce grossa. Anche gli italiani, poi, non hanno mai vinto il mondiale 500, per cui i risultati di Puzar sono accolti con grande entusiasmo da questa parte delle Alpi.
La seconda gara è in Spagna ed un Trampas Parker carico a molla vince a sorpresa la prima manche, tornando al successo dopo ben 4 anni (la sua, tra l’altro, sarà l’ultima vittoria in assoluto di una moto a 2T in una gara di mondiale 500); il GP, però, se lo prende Smets, che domina gara-2 e torna prepotentemente in testa alla classifica. Dopo una gara in cui i nuovi arrivati hanno spadroneggiato, le “vecchie glorie” hanno subito rimesso le cose a posto!
Gli incantevoli prati alpini di Schwanenstadt, in Austria, sono il teatro della terza prova. Andrea Bartolini vince la prima manche, il GP e soprattutto è l’unico dei grandi protagonisti a non marcare battute a vuoto in un GP segnato dagli zeri; così tanti che Shayne King, primo in gara-2, conquista il secondo posto assoluto nonostante si sia ritirato nella prima manche! Oltre al neozelandese, anche Smets rompe il motore in gara-1, Puzar lo fa nella seconda, Johansson in tutte e due e Demaria infila una serie di cadute che gli fanno raccogliere solo un terzo posto. Più che la classifica di un GP sembra un bollettino di guerra.
Si arriva in Italia, a Castiglion del Lago, per il quarto appuntamento. Andrea Bartolini, che voleva usare le prime gare per recuperare la forma dopo l’infortunio al femore, grazie ai guai dei suoi avversari si trova già in testa al mondiale e tanta gente è venuta a sostenere sia lui che Puzar, deciso a sfruttare la gara di casa per rilanciarsi; la battaglia finora è stata incertissima, un numero incredibile di piloti si è alternato nelle prime posizioni ed i valori in campo non si sono ancora ben definiti, per cui lo spettacolo è di quelli da non perdere. La prima manche di Gioiella conferma il trend e Peter Johansson, al termine di una lotta al cardiopalma con Smets, Puzar e Bartolini, diventa il settimo diverso vincitore su sette manche corse: un record probabilmente imbattibile. In gara-2 il primo pilota a raddoppiare una vittoria diventa Bartolini, che parte dritto come una spada e s’invola in una fantastica galoppata solitaria, tra gli applausi del pubblico che comincia a sognare il colpo grosso; il GP va a Johansson, ma il vincitore morale è Andrea, visto che Smets, Demaria e Puzar, ancora alle prese con problemi di ogni tipo, hanno perso altri punti. La classifica adesso vede Bartolini in testa con 120 punti; Smets è secondo con 95, poi ci sono Demaria a 82, Puzar a 81 e Johansson a 74.
Dopo la grande prova italiana, Bartolini si presenta carichissimo a Loket, in Repubblica Ceca, per la quinta gara. L’imolese conferma il suo grande momento di forma e vince il GP con un primo e un secondo di manche; Yves Demaria, vincendo gara-2, è l’unico che riesce a tenergli testa, mentre Smets è ufficialmente nei guai: la sua Husaberg ha gravi problemi di raffreddamento, dopo un po’ che gira spremuta a manetta da Joel si surriscalda e comincia ad andare come un Califfone, costringendo il pilota a fermarsi perdendo, ovviamente, uno sproposito di tempo; i meccanici della Casa svedese, dopo che il problema aveva già causato il ritiro nella prima manche, in gara-2 si portano dei secchi d’acqua nell’area riparazioni e, quando Joel si ferma con la moto nuovamente in panne, glieli tirano per raffreddare “al volo” il motore, ma neanche quest’assurdo espediente basta ad evitare il secondo zero. Anche Johansson paga i problemi di gioventù del suo prototipo e rimedia due ritiri. Tutto sembra girare dalla parte di Bartolini.
Sesta prova a Teutschenthal, in Germania: Johansson e Smets si spartiscono le vittorie di manche (il GP va allo svedese perché nella prima manche i due si sono toccati e Joel è caduto perdendo qualche posizione), Demaria li segue sul podio, mentre Bartolini, secondo in apertura, in gara-2 rimane coinvolto in un mucchio e rimedia solo un decimo posto. Nella prova successiva a Hawkstone Park Andrea prosegue suo il momento no, incappando in una giornata disastrosa: nella prima manche è costretto al ritiro dalla sua Yamaha, che non vuole saperne di ripartire dopo una caduta, e nella seconda non va oltre l’ottavo posto; Smets, invece, è un toro scatenato, rimonta e passa in testa in entrambe le manche ma la sua Husaberg si fa prendere di nuovo dai bollori e lo costringe a buttare via le vittorie, lasciandogli la miseria di 2 punti sul piatto. Tutto contento ne approfitta Johansson, che raccoglie una prestigiosissima doppietta sulla storica pista inglese, ma quello che in classifica esce più rinforzato da questo weekend è Yves Demaria, secondo e terzo di manche.
In Slovacchia ci si ritrova con un Andrea Bartolini che ha perso buona parte del suo vantaggio in classifica e, forse, anche un po’ delle sue convinzioni; tuttavia, subito dopo la brutta prova di Hawkstone, l’imolese si è sottoposto a delle analisi mediche e ha scoperto di avere una carenza di ferro nel sangue, che lo aveva lasciato senza forze in Inghilterra. Andrea è già riuscito a recuperare la piena forma grazie ad una veloce cura ricostituente, ma adesso gli sono rimasti solo 11 punti di vantaggio su Demaria (188 a 177), per cui deve ricominciare tutto da capo; Yves nelle prime gare ha buttato punti preziosi in cadute e rotture meccaniche, ma da qualche tempo ha trovato quella continuità che, unita al suo indiscutibile talento, lo rende veramente pericoloso. Alle spalle dei due, ancora non del tutto fuori dai giochi, ci sono Peter Johansson e Joel Smets, i due che hanno maggiormente pagato la scarsa affidabilità delle loro moto, ma che si sono anche rivelati globalmente i più veloci del lotto. La gara slovacca viene vinta proprio da Smets, con un primo e un secondo di manche (la sua moto fa ancora i capricci, ma stavolta solo dopo la bandiera a scacchi), mentre Demaria alterna alla vittoria in gara-2 il ritiro in gara-1 e Johansson, dopo aver buttato via il successo nella prima manche con una clamorosa scivolata a tre curve dall’arrivo, cade al via della seconda e non va oltre la dodicesima piazza; Bartolini, con una prova attenta che gli frutta un secondo e un quarto, si riprende un po’ di morale e di punti di vantaggio.
Namur, la Montecarlo del motocross, l’Università del tassello: la nona prova del mondiale 500, come da tradizione, fa tappa sull’incantevole parco della Citadelle. Al via della prima manche Bartolini rimane imbottigliato due volte nel giro di qualche centinaio di metri e quando finalmente riesce a districarsi dall’ingorgo è attardatissimo, seguito solo dai due poveri sventurati che erano rimasti a terra con lui; costretto ad una rimonta impossibile, risale fino al decimo posto, ma tra i piloti di testa ne approfitta solo Johansson, che vince la manche, mentre Smets rompe di nuovo e, soprattutto, Demaria è vittima di un infortunio ad un ginocchio che gli fa segnare un pesantissimo doppio zero. In gara-2 Andrea si riprende e finisce secondo dietro a Shayne King; Johansson arriva al traguardo con la moto ammutolita da una rottura, perde un paio di posizioni nell’ultimo giro ma salva comunque il quarto posto che gli permette di vincere il GP.
In Lussemburgo, a Ettlebruck, Andrea compie il suo capolavoro e conquista una fantastica doppietta. Per gli avversari è una mazzata tremenda: Demaria, col ginocchio fuori uso, riesce a racimolare solo un quinto di manche e Smets rimane ancora una volta a piedi in tutte e due le manche (stavolta, risolti i problemi di surriscaldamento, sono le valvole a fermare la sua Husaberg); l’unico contendente ancora realmente in corsa per il titolo rimane così Peter Johansson, terzo e quarto in rimonta dopo due brutte partenze, ma il distacco è tanto (52 punti) e per recuperarlo ci vorrebbero un finale di stagione perfetto e qualche episodio sfortunato a Bartolini.
Invece di attendere passivamente la fortuna, Johansson e la KTM decidono di cercare di “aiutare” il destino ad andare dalla loro parte. La gara successiva è a Uddevalla, a casa di Peter; il pubblico è tutto per lui e lo svedese (che ha 33 anni) sa che questa è la sua ultima occasione di conquistare un titolo mondiale che farebbe da coronamento ad una carriera lunga ed onorevole. Shayne King, Smets (che, essendo ufficiale Husaberg, è pilota di una Casa svedese che fa parte del gruppo KTM) ed alcuni svedesi sono d’accordo, il piano è semplice: ostacolare Bartolini al via e consentire a Johansson di scappare al comando. Ma qualcuno non c’è voluto stare, ha rifiutato la proposta di combine ed è andato a raccontare tutto ad Andrea, che quindi si presenta al via agitatissimo, consapevole che Smets e King accanto a lui sono lì per stringerlo e buttarlo giù. Ma quando è il tuo anno fortunato tutti i piani, le situazioni e le circostanze finiscono per girare a tuo favore; e questo è l’anno fortunato di Andrea Bartolini, non c’è niente da fare. Nervosissimo, l’imolese stacca male la frizione, fa impennare la moto e sbanda, finendo di peso addosso a Smets, che, a sua volta, non può fare altro che urtare Johansson accanto a lui e spingerlo a bordo pista. Risultato Bartolini esce indenne dalla prima curva, mentre Johansson rimane imbottigliato a centro gruppo: il piano di KTM ha ottenuto l’effetto contrario. La manche prosegue senza particolari sussulti, Smets vince, Bartolini è terzo e Johansson rimonta fino al quarto posto. In gara-2 i due contendenti si ritrovano al comando, percorrono il primo giro ad un ritmo elevatissimo, incollati l’uno all’altro, poi Johansson si fa prendere dalla foga e cade, ritrovandosi di nuovo in mezzo al gruppo; Bartolini sfrutta il momento, allunga e va a vincere una manche fondamentale, mentre dietro di lui Smets e Johansson si danno battaglia fino all’ultimo metro, ma Joel non cede un millimetro. Sul podio sono strette di mano e sorrisi amichevoli tra i tre, che solo poche ore prima erano nemici giurati: Johansson, del resto, è stato compagno di squadra di Bartolini per due anni e tra i due è nata una buona amicizia (lo stesso Andrea rivelerà che Peter è l’unico con cui ha dei rapporti anche al di fuori delle gare), e anche Smets ha capito che i giochi sono fatti, per cui ha preferito andare a vincere il GP piuttosto che cedere due punti quasi inutili a Peter ed inimicarsi le simpatie di qualcuno.
La penultima prova si svolge in Finlandia; la classifica dice Bartolini 316, Johansson 257. Ad Andrea bastano ventuno punti in quattro manche per laurearsi campione, sempre che Johansson le vinca tutte, ma nonostante questo l’imolese si presenta al cancello dopo una notte insonne: a 31 anni, dopo tanti tentativi, finalmente è ad un passo dal suo sogno, e adesso che è rimasta solo una formalità da espletare l’attesa lo sta letteralmente dilaniando. Si parte due volte, perché al primo tentativo il cancelletto è caduto a sproposito, e per Bartolini è più lunga di un pellegrinaggio a piedi: lascia scappare i primi, è teso come una corda di violino, aspetta solo una bandiera a scacchi che sembra non arrivare mai; Johansson è dietro di lui, in rimonta dopo una brutta partenza, rassegnato. Sul traguardo passa per primo il pilota di casa Aaltonen, mentre Bartolini è quarto e Johansson quinto: con i due punti guadagnati Andrea ne ha ora 61 di vantaggio su 60 disponibili ed è ufficialmente il nuovo Campione del Mondo, per la prima volta nella sua carriera e per la prima volta di un italiano nella 500. I numeri e le classifiche da adesso fanno posto alla storia. Smets è uno dei primi a congratularsi, stacca la tabella n.1 dalla sua Husaberg e la porge ad un Andrea visibilmente stordito dai festeggiamenti. In gara-2 il neocampione è molto più rilassato, parte in testa e va a vincere in scioltezza manche e GP. L’ultima prova a Lierop, in Olanda, è solo per le statistiche, visto che le posizioni di testa sono tutte già assegnate: vince Smets, a pari merito con l’idolo locale Van Wessel. La classifica finale dice Bartolini, Johansson, Smets, Demaria e Shayne King.
Mi sono dilungato un po’ troppo, è vero, ma avrei ancora tante cose da raccontarvi. Dovrei dirvi del mondiale di Puzar, di Shayne e Darryll King, di Parker, di Eckenbach, degli exploit di Garcia Vico, Van Wessel, Aaltonen, Jasinski, Herring e Burnham, del debutto della VOR con Van Doorn, dovrei spiegarvi che quella in Finlandia è stata l’ultima vittoria della carriera di Bartolini, anticiparvi il mazzo che Smets fece a tutti con la KTM nel 2000, ma comunque non finirei gli argomenti. E allora è meglio che mi fermo.
La classifica di fine anno non da l’idea dell’incredibile serie di colpi di scena che si sono susseguiti in quel fantastico 1999, della bellezza delle gare, dell’incertezza che regnava ad ogni partenza; spero di esserci riuscito io, almeno un po’. Non so se si capisce che ancora oggi, mentre ne parlo, mi tremano le mani dall’emozione: allora avevo 13 anni, ero a Gioiella quando Bartolini faceva impazzire la folla, i miei piloti preferiti correvano tutti in quel campionato e ogni domenica succedeva qualcosa di imprevedibile; aspettavo con trepidazione il mercoledì per correre in edicola a comprare Motosprint e leggere il nuovo capitolo del romanzo che quei piloti mi stavano raccontando, non mi perdevo un numero, ero letteralmente rapito.
Forse adesso è più chiaro perché vi dico che secondo me il Mondiale 500 del 1999 è stato il campionato più bello di sempre.
Al prossimo appuntamento con 1997: PUZAR E CHIODI, ATTRAZIONE FATALE
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