“UNA BIRRA COL KAISER: i mondiali piu belli (episodio3)”

Scritto mercoledì 5 Gennaio 2011 alle 00:09.

Per la terza puntata della nostra macchina del tempo lascio la parola a Mauro Marica, in arte Mariocross, romano purosangue nostalgico degli anni ’80, che affronta un discorso generico sul periodo d’oro del motocross per poi soffermarsi più nello specifico sull’edizione 1980 del mondiale cross 500, che ha segnato una svolta storica.


1980: IL CAMBIO DELLA GUARDIA

Gli anni ’80 per me rappresentano uno dei periodi più belli della vita, gli anni che mi piace  definire della “rivelazione”, in cui le mie passioni si definiscono e si mostrano senza incertezze: passioni con le ruote. Ruote artigliate. Sono un ragazzino di 9 anni quando, passando davanti ad un giornalaio in un paesino dell’Umbria,  vedo esposto un numero di Motosprint che dedica diverse pagine al motocross, con tanto di poster interno di Michele Rinaldi sulla TGM. L’articolo che mi colpisce di più è quello che spiega ed interpreta i vari stili di guida dei grandi motocrossisti dell’epoca, i migliori esponenti della classe regina, la mitica 500 2T: Noyce, De Coster, Malherbe, Bruno, Lackey, Vromans e anche il nostro Picco vengono esaminati e spiegati nello stile. Una cosa meravigliosa.


Gli anni ‘80 sono gli anni della grande rivoluzione del motocross: all’inizio il Mondiale è ancora il campionato più importante in assoluto ed anche gli americani vengono a correre in Europa per confrontarsi coi maestri europei, ma il Supercross USA conquista sempre più popolarità, arrivando a fine decennio a diventare il torneo più prestigioso, introducendo nuove tecniche di guida e nuovi standard stilistici attraverso i suoi piloti migliori; i campioni di questo periodo (sia americani che europei) diventano dei miti assoluti nell’immaginario collettivo degli appassionati, dotati di un fascino ed una popolarità ancora oggi straordinari; i piloti ufficiali hanno stipendi da superstar ed i premi gara e bonus vari permettono anche a molti comprimari di guadagnare degnamente; una vera rivoluzione tecnologica prende forma con soluzioni che oggi sono considerate scontate, ma allora sono vere innovazioni, come il raffreddamento ad acqua, i monoammortizzatori posteriori e le forcelle a steli rovesciati.


Il 1980 è un anno simbolo per tutto l’ambiente. I fatti più importanti forse avvengono proprio nella classe regina, la 500: è un campionato che non racconta solo lo scontro e il confronto di grandi piloti, ma porta con sé anche nuovi ed indelebili concetti.


Ci sono alcuni piloti arrembanti, che hanno fatto bene già l’anno prima, come Andrè Malherbe e Brad Lackey. Il primo è belga (scuola storicamente di riferimento per tutti), il secondo americano (la nuova scuola) ed entrambi sono piloti ufficiali, cioè non sono solo direttamente collegati alle Case, ma soprattutto guidano dei veri e propri prototipi: Malherbe corre per la Honda, Lackey per la Kawasaki. Sono giovani a livello agonistico, perché non hanno ancora ottenuto la consacrazione definitiva, anche se all’anagrafe Malherbe ha più di vent’anni e già diverse stagioni tra 125 e 250 alle spalle, mentre Lackey ne ha quasi trenta, un lungo passato negli USA e solo da un paio d’anni ha raggiunto il sogno di correre il mondiale 500.


Con loro in pista c’è gente della “vecchia scuola” come Roger de Coster, il campionissimo belga degli anni ’70: ha 36 anni e cinque titoli iridati, ma è ancora un pilota in grado di lottare per le prime posizioni ed è motivato perché la Suzuki (con cui ha corso per tantissimo) lo ha scaricato per fare posto a corridori più giovani come il francese Jean-Jacques Bruno, così lui si presenta con la Honda determinato a togliersi qualche sassolino dalla scarpa. Insieme a de Coster, anche l’olandese Gerrit Wolsink, il “dentista volante” vicecampione in carica, è stato scaricato dalle gialle di Hamamatsu ed è il nuovo pilota ufficiale Maico, che però non è al livello delle giapponesi. La Yamaha ha sostituito il mitico Heikki Mikkola, ritiratosi a fine ‘79 e diventato team manager, con un altro scandinavo, il roccioso svedese Hakan Carlqvist, fresco campione del mondo della 250. E ovviamente c’è anche il campione in carica, l’inglese Graham Noyce, un pilota elegante quanto efficace.


Tante motivazioni, tante differenze, ma anche un comune denominatore: tutti i protagonisti corrono con moto dotate di link e mono ammortizzatore. Sì, perché fino a qual momento le moto erano supportate posteriormente con due ammortizzatori.


E’ un mondiale combattutissimo e tutti sono molto vicini, fino ad arrivare all’ultima gara dell’anno in Lussemburgo. A contendersi il titolo sono rimasti solo Malherbe e Lackey, divisi da una manciata di punti, un’inezia, soprattutto considerata la frequenza dei guasti meccanici all’epoca.


Malherbe-Lackey ,immagine di repertorio



La gara si preannuncia dura. De Coster mette subito in chiaro che lui non vuole essere l’arbitro di questa battaglia tra i due e quindi starà davanti o dietro, ma di certo non in mezzo; dal canto loro i due contendenti lasciano intendere senza troppo nascondersi che si sarebbe giocato duro. Brad ha sempre dimostrato grande velocità, anche l’anno prima, quando però la moto lo ha tradito spesso; André è sereno e motivato, con una convinzione solida come il cemento armato, supportato anche da una moto eccezionale come la RC500, un modello su cui la Honda costruirà un riferimento per un decennio ed un mito immortale.


Parte la prima manche e c’è subito il contatto, ma a sorpresa è il “tranquillo” Andrè ad entrare duro su Brad, portandolo fuori. De Coster, come promesso, si tiene alla larga e lo fa al meglio, vincendo la manche, Malherbe è secondo e Lackey solo quarto. Sul contatto Malherbe sosterrà sempre di non aver toccato apposta il rivale, ma solo che chi era al suo fianco lo aveva costretto a modificare la traiettoria, come spesso succede in una normale partenza, e che questo abbia causato il contatto con Brad.


Nella seconda manche Lackey sa che non gli basta vincere e che solo uno zero di Malherbe può regalargli il titolo, così parte deciso a tentare il tutto per tutto per mettere fuori gioco l’avversario.


De Coster replica quanto fatto nella prima manche, parte in testa e va a vincere in scioltezza, mentre Brad attende André sperando in un corpo a copro: giro dopo giro i due si avvicinano sempre più, ma “chi la fa l’aspetti”, dice un proverbio, e a commettere l’errore è proprio l’americano. Malherbe è quindi campione del mondo della 500 per la prima volta nella sua carriera, dopo i due titoli del Prix FIM 125 (l’antesignano del mondiale della ottavo di litro) nel ’73 e ‘74.


Ma il risultato di questa gara segna ufficialmente l’inizio di una nuova era, sotto molti punti di vista. Per la prima volta una moto ammortizzata con mono/link vince il titolo mondiale. Roger de Coster, come nel finale di un film, si ritira dalle corse con la doppietta lussemburghese, segnando ufficialmente il cambio generazionale. André Malherbe comincia la sua strada verso la leggenda, che raggiungerà vincendo altri due titoli mondiali (sempre nella 500) e poi finendo drammaticamente paralizzato in una terribile caduta alla Parigi-Dakar. L’America inizia a far vedere un modo di fare motocross che negli anni successivi diventerà il riferimento mondiale: mentre Lackey lotta per il titolo, infatti, nello stesso anno il privato Marty Moates vince il GP USA di Carlsbad, diventando il primo americano a vincere il GP di casa. Per la cronaca Lackey vincerà il mondiale due anni dopo (1982), in sella alla Suzuki, il primo americano a riuscirci in contemporanea con Danny LaPorte (vincitore lo stesso anno della 250); Brad, per uno scherzo del destino, vincerà il mondiale all’ultima gara, e sempre in Lussemburgo, in una gara epica, con una cornice di pubblico stimato in più di 50 mila spettatori

Che anni ragazzi!

 

Nella prossima puntata: 1991: DAI MANUBRI ALLE MANI 

 

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